Storia delle polveri da sparo

Secondo un’opinione molto diffusa, l’invenzione della polvere da sparo si attribuisce al monaco tedesco Bertoldo Schwarz che nel XV secolo avrebbe scoperto una miscela esplosiva, mescolando salnitro, carbone e zolfo. In realtà la scoperta della polvere da sparo da parte del monaco tedesco è una leggenda perché le armi da fuoco erano diffuse già prima del 1400. Fin nel XIII secolo, infatti alcuni alchimisti arabi, nel corso delle loro ricerche, avevano osservato che, pestando in un mortaio questa miscela, se si sprigionava una scintilla, si provocava uno scoppio, talvolta così intenso da far sfuggire di mano il pestello. Gli Arabi pensarono allora di sfruttare l’incredibile forza prodotta da quella polvere per lanciare proiettili in lontananza. Sopra la polvere, posta nei loro mortai, collocarono delle pietre, poi, con un bastoncino infuocato, ne provocarono lo scoppio. Il risultato fu quello atteso: i ciottoli ricaddero a terra dopo aver compiuto una traiettoria di qualche metro. Questi mortai, così utilizzati dagli alchimisti orientali, non possono essere considerate delle vere armi, ma furono tuttavia le prime applicazioni della polvere da sparo. Dopo questi esperimenti felicemente riusciti, si cominciarono a costruire le prime armi da fuoco. Quasi certamente furono usate per la prima volta nella fortificazione di Granada (Spagna), attorno al 1275, durante la dominazione dei Mori. Consistevano in grosse secchie di ferro, con un foro nel fondo; venivano caricate con circa un chilo di polvere da sparo e una dozzina di ciottoli. Per provocare lo scoppio si avvicinava alla polvere, attraverso il foro praticato nel fondo, un fuscello acceso: la polvere, esplodendo, lanciava lontano le pietre. Queste erano efficaci, più che altro, per il terrore che incutevano con il fragore della loro esplosione, per il fumo ed il fuoco che sprigionavano; non potevano però competere in precisione di tiro con le balestre fino ad allora usate, perché la grossa imboccatura del secchio non permetteva di prendere la mira esatta. Verso il 1500 le nuove armi, chiamate cannoni, avevano ormai assunto un aspetto ben definito che per parecchi secoli sarebbe rimasto pressoché invariato. La canna venne montata su due ruote per facilitarne il trasporto e bilanciata su un perno per poterne regolare il puntamento. Per mettere il cannone in condizione di sparare, il cannoniere con un lunghissimo mestolo collocava in fondo alla canna la quantità di polvere desiderata e la comprimeva contro la culatta con un apposito attrezzo; poi introduceva un disco di legno per separare la polvere dalla palla ed infine, sempre dalla bocca, introduceva il proiettile. Queste armi, durante le operazioni di caricamento, si rivelarono molto pericolose per i cannonieri stessi.
Infatti la polvere, nel trasporto, formava facilmente dense nuvole, che al minimo contatto con il fuoco, provocavano un’esplosione. Si pensò perciò di trasportare la polvere non ancora miscelata, suddividendo i suoi componenti in tre botti diverse; la si mescolava in un truogolo soltanto al momento di caricare il pezzo. In seguito si ottenne una maggiore sicurezza preparando la polvere da sparo in grani; le dosi venivano precedentemente mescolate ed impastate con alcol o acqua e lasciate ad essiccare; si formavano delle formelle, che poi venivano macinate. Fin verso il 1420 le palle furono semplici pietre, sbozzate a forma di sfera; in seguito si diffusero proiettili di ferro e piombo, i quali avevano il vantaggio di poter essere rigati perché seguissero una traiettoria più rettilinea. I cannoni aventi queste caratteristiche risultarono abbastanza soddisfacenti sotto l’aspetto della precisione di tiro, avevano però il difetto di abbisognare di troppo tempo per il caricamento e di costringere il cannoniere a stare allo scoperto ed esposto al fuoco nemico durante tutto il tempo occorrente a tale operazione. Il primo cannone a retro carica fu costruito attorno al 1380, allo scopo di permettere al cannoniere di ricaricare il pezzo senza portarsi allo scoperto. Nella parte posteriore del cannone, veniva segata, per la lunghezza di circa un piede, la parte superiore della canna e qui si poneva una culatta mobile. In questa culatta venivano collocate la polvere e la palla; poi essa veniva inserita al suo posto e bloccata con una leva: Le operazioni di caricamento potevano così essere svolte dalla parte posteriore della canna, consentendo al cannoniere di restare al riparo di uno steccato. Il cannone a retrocarica aveva però il difetto di una scarsa potenza di tiro. Infatti, poiché la chiusura tra la culatta mobile e la canna riusciva quasi sempre imperfetta, i gas prodotti dall’esplosione della polvere sfuggivano dalle fessure, diminuendo così la gittata dell’arma. Per questo motivo, fino a quando non si perfezionò a sufficienza la tecnica della fonderia, cioè fino al secolo scorso i cannoni continuarono ad essere tutti ad avancarica….

Sviluppo della cartuccia

Per tutta una parte di storia delle armi leggere, la polvere, lo stoppaccio, la palla e l’innesco venivano trasportati separatamente, e pure separatamente erano caricati nell’arma. La polvere veniva versata nella canna attraverso la bocca, seguita dallo stoppaccio che serviva a intasare la canna; quindi la palla veniva spinta nella canna, e un piccolo quantitativo di polvere deposto nello scodellino fungeva da innesco. Dopo lo sviluppo del fucile a pietra focaia, gli eserciti iniziarono a preconfezionare le munizioni prima della battaglia, avvolgendo il proiettile e la giusta dose di polvere in un cartoccio; tutto l’insieme era chiamato cartuccia. In combattimento, la cartuccia veniva aperta con un morso, la polvere veniva versata nella canna, seguita dalla palla, e lo stesso involucro di carta veniva usato come stoppaccio. Con lo sviluppo dei fucili a retrocarica, si diffuse una cartuccia metallica completa. Quando si faceva fuoco, il bossolo metallico si dilatava durante la combustione della polvere, impedendo che i gas sfuggissero attraverso la culatta, e in seguito si contraeva, consentendo un’agevole estrazione del bossolo.

Proiettili

La prima cartuccia parzialmente metallica, universalmente adottata era del tipo cosiddetto ad ago. Seguì una cartuccia dotata di esplosivo a percussione: una miscela di innesco a base di fulminato di mercurio contenuta nel bordo del bossolo. L’impatto del percussore dell’arma sul bordo del bossolo faceva esplodere l’innesco, il quale faceva a sua volta detonare la carica di sparo. Questo tipo è stato soppiantato dalla moderna cartuccia, nella quale la miscela di innesco è contenuta in una capsula di metallo tenero alloggiata al centro del fondello del bossolo, ed è in comunicazione con la carica di sparo attraverso una piccola apertura.
I proiettili d’ordinanza per le armi leggere da guerra erano chiamati genericamente “palle”, data la loro forma sferica; i moderni proiettili hanno invece forma cilindrica e di solito presentano un’estremità conica.
Quando fu sviluppata la mitragliatrice, il suo impiego nel fuoco a raffica richiedeva un metodo per dirigere i colpi; il proiettile tracciante, che alla base ha una piccola carica infiammabile, consente al mitragliere di osservare a vista la traiettoria dei colpi, per meglio dirigerli sul bersaglio. Durante la prima guerra mondiale, lo sviluppo di veicoli corazzati, specialmente il carro armato, indusse ad adottare proiettili perforanti, nei quali l’anima di piombo rivestita da una lega di rame e nichel era sostituita da acciaio temprato in grado di penetrare in una corazzatura. Nel periodo fra la prima e la seconda guerra mondiale furono sviluppati proiettili incendiari per l’attacco ai mezzi dotati di motore a combustione interna.

Artiglieria

Termine generale con cui si indica sia il complesso delle armi pesanti, come cannoni e lanciarazzi, sia il nome dell’arma dell’esercito che impiega questo tipo di mezzi. Le armi di grosso calibro che costituiscono l’artiglieria sono utilizzate dalle forze di terra, ma possono essere montate anche su navi e aerei. Esse possono essere suddivise in quattro categorie fondamentali: cannoni, mortai, obici e lanciarazzi.

Cannoni

Un cannone è un’arma di grosso calibro che spara proiettili ad alta velocità e con traiettoria tesa, che di solito possiedono una carica esplosiva che detona all’impatto col bersaglio. Il cannone normalmente presenta sulla superficie interna una rigatura a spirale che imprime al proiettile un movimento rotatorio attorno al proprio asse. Tale movimento accresce la stabilità del proiettile stesso durante il volo, rendendo la traiettoria più precisa.
I primi cannoni sparavano semplici proiettili non esplosivi e venivano caricati dalla bocca della canna. In seguito furono adottate munizioni che producevano ventagli di schegge metalliche, o shrapnel, e che venivano caricate da un lato del cannone, così da permettere un tiro più rapido.

Mortai

Un mortaio è un cannone che lancia granate lungo una traiettoria alta e arcuata, che consente al proiettile di scavalcare un eventuale ostacolo topografico per raggiungere il bersaglio. Le granate vengono caricate attraverso la bocca del mortaio; scivolando all’interno lungo la canna, finiscono con l’urtare un’unghia di percussione che provoca la detonazione della carica di lancio. I mortai sono particolarmente adatti nelle operazioni belliche in terreni dalla topografia irregolare, sono facilmente trasportabili e di semplice funzionamento.
Come i cannoni, i primi mortai sparavano proiettili non esplosivi; solo in un secondo tempo essi vennero progettati in modo da lanciare granate dotate di spolette che potevano essere regolate per esplodere all’impatto col terreno o appena prima di toccare il suolo.

Obici

In origine, gli obici avevano una canna di lunghezza media che sparava un proiettile a velocità moderata lungo una traiettoria curva. Sparando con un alzo ridotto, gli obici potevano raggiungere una gittata considerevole, come i cannoni, mentre con un alzo elevato potevano scavalcare ostacoli, come i mortai. Oggi, le differenze tra cannoni e obici sono più sfumate. Gli obici sono ora dotati di canne più lunghe e possono sparare una varietà di proiettili a distanze che un tempo erano coperte soltanto dai cannoni. Gli obici leggeri sono di solito montati su un affusto dotato di ruote e possono essere rimorchiati, trasportati da elicotteri o paracadutati da aerei in zona di operazioni.

Lanciarazzi e rampe missilistiche

I lanciarazzi guidano la partenza di proiettili autopropulsi. I missili, che possono percorrere grandi distanze e colpire bersagli con grande precisione, consistono essenzialmente di un propulsore a razzo e di una testata esplosiva. Si distinguono principalmente due tipi di missili: quelli non guidati e quelli guidati (Vedi missili guidati). I primi, che propriamente dovrebbero essere chiamati semplicemente razzi, sono indirizzati dal lanciarazzi in una traiettoria non modificabile. I missili guidati, invece, sono dotati di speciali dispositivi che permettono di controllarne con precisione la traiettoria durante il volo.
L’uso diffuso dei lanciarazzi ebbe inizio nel corso della seconda guerra mondiale. Tra le armi più potenti impiegate durante la guerra era il razzo tedesco V-2, con una traiettoria balistica molto arcuata e alta (tanto da uscire dall’atmosfera), e un raggio di azione di 350 km.

Lo sviluppo dell’artiglieria

I romani e altri popoli dell’antichità usavano congegni come le catapulte per scagliare massi e altri proiettili contro fortificazioni e formazioni nemiche. Le prime armi da fuoco apparvero in Europa agli inizi del XIV secolo. L’artiglieria di quest’epoca sparava soprattutto palle di ferro e aveva spesso più successo nel seminare panico tra i ranghi del nemico che nell’infliggere un danno vero e proprio. I primi pezzi di artiglieria erano notoriamente inaffidabili ed era difficile controllarne l’esplosione, che spesso avveniva all’atto di far fuoco. Questo rimase un grosso problema fino al termine del secolo scorso. Da allora, i progressi realizzati in metallurgia hanno migliorato l’efficienza dei pezzi e l’artiglieria ha assunto un ruolo di assoluto rilievo negli eserciti moderni.
Lo sviluppo dell’artiglieria ha comunque prodotto notevoli cambiamenti nella tattica di guerra. I primi cannoni e mortai venivano usati soprattutto contro città fortificate, dal momento che il grande peso dei pezzi di artiglieria impediva che essi fossero impiegati in una guerra di movimento. Solo sul finire del XV secolo i francesi utilizzarono per la prima volta in battaglia, e con buon esito, cannoni dotati di ruote. Agli inizi del secolo scorso l’artiglieria aveva ormai assunto il carattere di forza mobile di supporto nelle operazioni belliche. Il fuoco delle batterie di artiglieria veniva usato per distruggere formazioni nemiche attaccanti o per scompaginare le forze in difesa prima di lanciare un attacco. L’artiglieria, trainata da cavalli, aveva acquistato mobilità e poteva essere spostata da un punto all’altro di un campo di battaglia.
Durante la prima guerra mondiale (1914-1918) l’intenso fuoco di artiglieria tolse a entrambe le parti in conflitto la capacità di muovere forze, e ciò condusse alla situazione di stallo della guerra di trincea. La seconda guerra mondiale vide un ritorno alle tattiche di manovra, con l’entrata in scena dei carri armati e dei veicoli blindati per il trasporto di truppe, ma l’artiglieria continuò comunque a essere la forza più distruttiva sul campo di battaglia.
In conflitti recenti, come nella guerra di Corea e in quella del Vietnam l’artiglieria fornì la maggiore copertura di fuoco per le forze di terra. I cannoni possono costituire dei mezzi di supporto utilizzando munizioni anticarro e antiuomo, quali ad esempio i proiettili a guida laser in grado di distruggere carri armati in movimento, e le munizioni che rilasciano ventagli di piccole bombe antiuomo. Gli obici medi di cui alcuni eserciti dispongono sono in grado di sparare munizioni chimiche o nucleari e anche di distribuire mine.
I recenti progressi nelle prestazioni dei computer e nei sistemi di rilevamento hanno reso possibile il progetto e la costruzione di pezzi di artiglieria e lanciarazzi capaci di muoversi autonomamente su un campo di battaglia, fermandosi per sparare, e spostandosi rapidamente subito dopo in un’altra posizione. Alcuni di essi, inoltre possono essere caricati con i cosiddetti proiettili “intelligenti”, in grado di dirigersi verso bersagli fissi o mobili grazie all’uso di sofisticati sensori. Queste munizioni sono dette anche “fire-and-forget” (spara e dimentica), poiché non è necessario correggerne la traiettoria durante il volo.
Cannone Termine che designa in generale armi da fuoco con calibro superiore ai 20 mm, distinte dalle cosiddette armi leggere. Insieme al mortaio e all’obice, il cannone costituisce una delle armi principali in dotazione all’artiglieria.
L’invenzione del cannone viene generalmente attribuita a Berthold Schwarz, un monaco tedesco del XIV secolo. I primi cannoni usavano cariche di polvere pirica per sparare grosse pietre o sfere metalliche ed erano sostanzialmente costituiti da voluminosi tubi metallici ad anima liscia che venivano caricati dalla bocca; il rinculo veniva assorbito dal moto all’indietro dell’affusto, che allo scopo era dotato di ruote. Il cannone moderno, caricato attraverso la culatta (da dietro la canna), consiste di un tubo di acciaio internamente rigato a spirale, in modo da conferire al proiettile una rotazione attorno al proprio asse durante il volo, e rinforzato da un rivestimento esterno sempre in acciaio; l’affusto è dotato di meccanismi che servono ad assorbire la forza del rinculo e a riportare immediatamente il cannone nella posizione di sparo. Meccanismi di elevazione e di spostamento orizzontale permettono inoltre di mirare manualmente, attraverso un motore elettrico, oppure per mezzo di un sistema completamente automatico che si serve di un radar per individuare e inseguire un bersaglio.
I cannoni possono sparare munizioni di tipo assai diverso: proiettili esplosivi, proiettili perforanti anticarro, granate fumogene e da segnalazione, ogive chimiche e nucleari. Possono essere sparati per mezzo di un cannone dotazioni mediche di importanza vitale per truppe rimaste isolate e perfino contenitori di volantini di propaganda.

Munizioni

Le prime munizioni per armi da fuoco portatili, generalmente di forma sferica, venivano calcate con la bacchetta sulla polvere nera versata nella camera di scoppio ricavata nella culatta della canna. Nel 16° sec. si introdusse l’uso della cartuccia, involucro cilindrico di carta contenente la carica e, a un’estremità, la pallottola. Al principio del 19° sec. si iniziò a usare l’innesco a percussione e il polverino fu sostituito da una miscela fulminante, a base di clorato di potassio e solfuro di antimonio, contenuta o in un tubetto di lamiera d’ottone, che veniva infilato nel focone o in una capsula di rame. La stessa evoluzione subirono le munizioni per artiglieria; dapprima palle di pietra, poi di bronzo o di piombo, infine di ferro fucinato o fuso; nel 15° sec. iniziò l’uso dei proietti scoppianti, o granate, la cui spoletta veniva accesa dai gas infiammati della carica di lancio. Successivamente, furono adottati per i cannoni e le colubrine i proietti a grappolo, le scatole a mitraglia, le palle incatenate ecc. Nel 16° sec. subentrò l’uso dei cartocci di carta o di tessuto, simili alle cartucce delle armi portatili che, introdotti con la cucchiara, venivano forati in corrispondenza del focone. Nel 18° sec. furono utilizzati come mezzi d’offesa i razzi che portavano in punta una granata, una scatola a mitraglia, o anche cariche incendiarie. Per migliorare le caratteristiche e le prestazioni delle armi da fuoco si adottò, nel 19° sec., la rigatura interna delle canne. A partire dal penultimo decennio del 20° sec. la ricerca si è indirizzata verso nuovi sistemi di armi che sfruttino il case-less, tipo di cartuccia senza bossolo in cui la polvere, compattata da uno speciale legante chimico, si colloca attorno al proietto.
Nella tecnica militare, il termine munizioni è usato per indicare in genere l’insieme di tutti i proietti, cariche di lancio, bossoli e colpi completi in dotazione ad armi da fuoco, o, se accoppiato con indicazioni specifiche, per indicare i proietti e i colpi relativi a un determinato calibro. Sotto un profilo tecnico generale si può accennare al fatto che ogni tipo di munizionamento comprende sempre un proiettile inerte o scoppiante, una carica di lancio e un innesco o cannello destinato all’infiammazione della carica stessa. A tutti i problemi relativi alle munizioni presiedono nei diversi eserciti appositi organi tecnico-logistici territoriali e di campagna, variamente organizzati e articolati.

Tipi di munizioni

Le munizioni sono le cartucce a palla o a salve destinate a caricare armi da sparo; esse possono essere predisposte al caricamento di armi lunghe – carabine e fucili, da caccia o meno, – ovvero di armi corte, quali quelle nate per essere usate in pistole.
Sono munizioni a “palla” quelle che montano un proiettile unico, a “carica spezzata” quelle che contengono nel bossolo più palle di piombo.
La legge vieta i proiettili a punta cava (detti ad espansione), a nucleo perforante, traccianti, incendiari, a carica esplosiva.

Le munizioni da guerra sono ormai molto poche e ne è vietata la detenzione. Tra i calibri per pistola sono ancora considerate tipo guerra quelle in cal. 9 para o Luger se assemblate impiegando proiettile camiciato; con proiettile non camiciato sono in vendita come munizioni comuni.
Tra le munizioni per carabina sono tipo guerra quelle nei calibri in uso alla NATO e, in particolare, il 7×62 NATO. Identica cartuccia è però in vendita come 308 Winchester con palla non totalmente camiciata.
Le scritte sul bossolo non sono rilevanti e perciò̀ bossoli marchiati Nato possono essere ricaricati con palle consentite.
Sono ovviamente da guerra le munizioni per mitragliatrice o artiglierie. Restando in argomento giova infine precisare che il Ministero ha stabilito che i bossoli da guerra sparati non sono praticamente ricaricabili e sono perciò̀ liberamente detenibili.
Le munizioni a salve sono quelle nei calibri per arma comune da sparo (ad es. 9×21, 7,65, 45 ACP) sono soggette allo stesso regine delle munizioni cariche venendo classificate tali per la tipologia delle materie esplodenti – innesco e polveri da sparo – utilizzate.
Le munizioni da salve invece prodotte per l’impiego in armi di libera vendita, quali scacciacani e strumenti da segnalazione acustica – calibro 6, 8, 9 mm – o per attrezzi – pistole sparachiodi ad esempio – sono liberalizzate.

Pallottola

Proiettile di un’arma portatile normale o automatica. Nelle armi portatili ad avancarica e ad anima liscia, la pallottola era, infatti, una sfera di piombo che veniva introdotta dalla bocca nella canna del fucile e calcata a colpi di bacchetta sopra la carica di lancio. Il tiro era estremamente impreciso al disopra di 100 m, ma d’altra parte gli effetti erano sempre molto gravi in quanto le pallottola, deformate, producevano ferite lacero-contuse.
Le pallottole delle armi a retrocarica e a canna rigata sono costituite da un nucleo di piombo indurito (detto nocciolo) incamiciato da un involucro di acciaio dolce o più spesso di lega di rame (maillechort), che assicura il forzamento nella rigatura della canna. Le pallottola sono sempre unite al bossolo contenente la carica di lancio e con esso formano le cartucce. Nelle armi da caccia ad anima liscia, in particolari casi, come nelle battute al cinghiale, si usano cartucce con pallottole di forme particolari con nervature di piombo, che garantiscono una sufficiente tenuta dei gas di scoppio per tutta la lunghezza della canna finché deformandosi, permettono il passaggio della pallottola attraverso la strozzatura; molto usata è la pallottola Brennecke, con nervature elicoidali e una borra di feltro ingrassato avvitata al fondello che funge da impennaggio. Si hanno anche pallottole perforanti, con nucleo d’acciaio durissimo, per forare corazzature, e pallottole incendiarie per appiccare il fuoco.

Il bossolo

La capsula dell’innesco viene marcata in genere in modo abbastanza netto dall’impatto del percussore che opera come un punzone.
Durante la deflagrazione della carica di lancio attivata dallo scoppio dell’innesco, si ha lo sviluppo di ingenti quantità di gas con conseguente, aumento di pressione, che ovviamente si manifesta in ogni direzione determinando effetti sia in senso radiale sia assiale posteriore.
In senso radiale la pressione fa dilatare il bossolo facendo aderire la parte cilindrica dello stesso contro la superficie interna della corrispondente porzione della camera di cartuccia.
Si forma così un vero e proprio sistema di guarnizione che impedisce sfiati di gas ed assicura la perfetta tenuta del sistema di chiusura.
In senso assiale posteriore, la pressione agisce contro l’interno del fondello del bossolo, premendolo contro la superficie di otturazione.
Detta sollecitudine interessa ovviamente anche la capsula che è solidale con il fondello del bossolo.
In entrambi i casi, il bossolo saldamente afferrato dall’estrattore, viene sfilato dalla canna, e all’incontro con l’espulsore, viene proiettato fuori dall’arma.
Detto bossolo è sempre interessato dalle impressioni lasciate dall’espulsore e dall’estrattore oltre che dalle irregolarità eventualmente presenti sulla camera di cartuccia; lasciando impronte inconfondibili.