Storia delle armi da fuoco

Si definisce Arma qualsiasi strumento atto a offendere o difendere. Specificatamente atto a potenziare le possibilità fisiche dell’uomo sia per offendere, che per difendersi o per ottenere un determinato scopo che altrimenti sarebbe limitato o impossibile (es. caccia, tiro a segno, etc.).

Le armi si suddividono in proprie e improprie.

  • Armi proprie sono quelle che nascono con lo scopo di offendere,
  • Armi improprie sono tutti quegli oggetti che se usati impropriamente possono accrescere il potere offensivo come ad esempio il bastone, il coltello da cucina, ecc.

Tra le armi proprie classifichiamo: armi bianche, armi da fuoco, armi speciali.

  • Le armi bianche sono così definite perché riprendono la lucentezza del metallo con cui sono costruite ed il loro potenziamento varia a seconda di chi la utilizza. Esse possono essere difensive ( o mezzi di protezione): scudo, maschera NBC, ecc.; offensive: da lancio, da taglio, da punta, da punta a taglio, lunghe o corte (pugnale, sciabola, manganello, ecc.).
  • Le armi da fuoco sono macchine termo-balistiche che sfruttano la forza espansiva dei gas, lanciano nello spazio un’ogiva o una palla mediante un tubo metallico detto canna.

Possono essere convenzionali, autopropulse e cannoni senza rinculo.

  • Sono convenzionali tutte le armi in cui sono presenti i 3 elementi fondamentali: canna-otturatore-castello.
  • Sono autopropulse tutte quelle dotate di mezzo di propulsione autonomo come missili e razzi.
  • I cannoni senza rinculo sono armi senza otturatore anche se in realtà l’otturatore non manca completamente ma è di molto attenuato, consentendo parte della fuga di gas dalla parte posteriore dell’arma.

Le armi da fuoco sono considerate portatili o da artiglieria.

  • Portatili: di medio o piccolo calibro, inferiore a 20 mm, usate per brevi e medie distanze (pistole, M12, fucili, mortai leggeri, ecc.). Per il trasporto e l’uso basta un solo operatore.
  • Artiglieria: di grosso calibro, da 20 mm in su. Per il trasporto e l’uso servono due o più persone o l’uso di automezzi.

Anche nel caricamento distinguiamo le armi ad avancarica e a retrocarica.

  • Ad avancarica il caricamento è sempre singolo ed effettuato dal vivo di volata (es. mortaio).
  • A retrocarica il caricamento avviene attraverso un’apertura sulla culatta che immette nella camera di cartuccia; distinguiamo quelle a caricamento singolo e a caricamento multiplo.

Le armi inoltre possono essere classificate per il loro funzionamento: ordinario, semiautomatico, automatico.

  • Ordinario, quando tutte le operazioni sono espletate dall’operatore.
  • Semiautomatico, quando dopo la prima operazione espletata dall’operatore, l’arma si predispone nuovamente allo sparo automaticamente attraverso il ciclo funzionale e lo sfruttamento dei gas.
  • Automatico, possiede le stesse caratteristiche del funzionamento semiautomatico con l’ulteriore possibilità di sparare a raffica.

Le armi speciali vengono così definite perché producono effetti speciali e sono nucleari, batteriologiche e chimiche.

Le armi che a noi interessano sono le ARMI DA FUOCO

La definizione di arma da fuoco più consona è forse quella usata dai manuali militari: “L’arma da fuoco è una macchina termo balistica capace di lanciare un corpo pesante, il proietto, destinato ad offendere, neutralizzare, oppure ad arrecare specifici effetti ad un bersaglio posto a distanza, utilizzando la forza espansiva dei gas prodotti dalla trasformazione di una sostanza esplosiva, carica di lancio o propellente, fatta esplodere nell’interno di un tubo resistente, canna o bocca di fuoco.

Parti essenziali di un’arma da fuoco

  • la canna: costituita da un tubo di conveniente calibro, lunghezza e spessore con una parte interna (anima) liscia o rigata e suddivisa in vivo di volata, vivo di culatta, e una camera di cartuccia;
    • Il calibro: nella terminologia tecnica indica il diametro interno della canna (anima) espresso in una unità di misura (millimetri, frazioni di pollice, ecc.) oppure in altra forma, facendo comunque sempre riferimento al diametro interno della bocca di fuoco che il proiettile “copia” e mantiene durante l’attraversamento della canna stessa.
    • Il calibro del fucile a canna rigata: in questo tipo di armi il problema della misura del diametro della canna si complica perché bisogna stabilire se esso si misura tra i pieni della rigatura, oppure tra i vuoti. A livello internazionale si intende che la misura concerne il calibro di foratura e perciò la dimensione minima dell’anima. Nella pratica quando si parla di calibro di un’arma rigata, non si fa riferimento ai valori tecnici esatti, ma a valori arrotondati e convenzionali.
      Es. .22 LR . 222 Rem.5,6 x43 . 223 Rem Mag. 5,6x 45.224 Weatherby, sono sempre 5,6 m.
  • la cassa o castello: assembla l’arma da fuoco, cioè tiene unite le varie parti dell’arma e serve da collegamento tra la canna e il tiratore;
  • l’otturatore: è l’elemento meccanico di chiusura della canna.

Queste tre parti fondamentali sono supportate da una numerosa serie di ingranaggi.

Il ciclo funzionale è la sequenza ordinata e successiva che predispone l’arma per lo sparo. Esso è manuale in un’arma ordinaria ed automatico nelle armi semiautomatiche e automatiche.
Ogni sequenza costituisce una fase del ciclo e le fasi sono: armamento-caricamento-chiusura della culatta-scatto e percussione-arpertura della culatta-estrazione ed espulsione.

La chiusura dell’arma può essere ermetica o meccanica.

  • La chiusura ermetica è quella realizzata dalla dilatazione del bossolo, che all’atto della deflagrazione, aderisce alle pareti della camera di cartuccia e consente ai gas di spingere soprattutto in avanti verso la palla.
  • La chiusura meccanica è quella effettuata dall’otturatore e consiste in un vincolo che deve esistere fino al momento in cui la palla lascia il vivo di volata. La chiusura meccanica si divide in assoluta – stabile – labile – metastabile.
    • Assoluta (o ordinaria): sia la chiusura che l’apertura viene garantita normalmente dall’operatore (moschetto 91).
    • Stabile: quando vi è un parziale recupero di gas che contribuiscono al riarmo dell’arma (spas in funzionamento semiautomatico).
    • Labile: non vi è un vero e proprio vincolo dell’arma, ma la chiusura viene garantita dal peso della massa (otturatore) e dalla spinta della molla (es. PM 12).
    • Metastabile: quando vi è un vincolo meccanico che ritarda l’apertura tra canna e otturatore fino al momento in cui la palla esce dal vivo di volata (es. pistola 92).

Le origini

Fin dall’antichità l’Uomo ha applicato la sua intelligenza per costruire strumenti di morte sempre più incisivi. La storia delle armi da fuoco ne è un esempio.

Carbone di legna, zolfo e salnitro: sono questi gli elementi che entrano nella composizione della polvere da sparo (detta anche polvere pirica), diffusa in Europa probabilmente a partire dal XIII secolo. Grazie a questa invenzione, si diffusero rapidamente le armi da fuoco, destinate a modificare profondamente le guerre: non più una serie di scontri individuali, come succedeva nel Medioevo ma battaglie condotte da lontano, in cui l’abilità e il coraggio del singolo avevano un peso sempre minore.

Lo schioppo (hand cannon in lingua inglese – it. “cannone a mano”; midfa in lingua araba; 手銃 (Shǒu Chòng) in cinese; пищаль (Pishal) in lingua russa), anche scoppietto o schioppetto, fu la prima arma da fuoco portatile della storia dell’umanità, creata collocando un piccolo cannone o una piccola bombarda alla sommità di un’astile ligneo che permetteva allo “schioppettiere” il trasporto di questo pezzo d’artiglieria di ridotte dimensioni.
Originario della Cina, ebbe larga diffusione in Europa nel corso del XIV secolo, veicolatovi dall’Italia. Restò in uso sino ai primordi del XVI secolo, quando venne definitivamente sostituito dall’archibugio, arma più precisa, maneggevole e dal sempre più avanzato sistema di scoppio.

In Europa, lo schioppo cadde definitivamente in disuso ai primordi del XVI secolo, quando venne soppiantato da pezzi di artiglieria portatile più precisi come il Falconetto. L’esperimento dello “schioppo corto” per tiratori montati in sella trovò una sua concreta applicazione solo quando venne inventato il meccanismo d’accensione a ruota (v. acciarino) con la conseguente diffusione della pistola a ruota e del petrinale.

In Cina, il “cannone a mano” restò invece in uso sino al XIX secolo.

L’archibugio è un’antica arma da fuoco portatile ad avancarica.

Il termine “archibugio” (hacquebuche in lingua francese), intrusione delle parole “arco” e “buco”, potrebbe derivare dal vocabolo in lingua olandese hake-bus (“scatola con uncino”), anche se, come ipotizzato da Angelo Angelucci nell’Ottocento, il termine dovrebbe essere di origine italiana.

Esso può essere considerata la prima vera arma da fuoco portatile capace di garantire una certa precisione nel tiro. Evoluzione del più primitivo e pericoloso scoppietto, anche noto come “cannone a mano” (handgun in lingua inglese), l’archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile moderno.

Il falconetto è un pezzo d’artiglieria leggera sviluppato in epoca tardo-medievale-rinascimentale. Cannone di piccolo calibro (dai 5 ai 7 cm), trasportabile a mano, sparava palle piene di un peso che, pur variando a seconda del modello, dell’epoca e della destinazione d’uso (generalmente artiglieria da marina), era compreso fra l’una e le tre libbre. Venne impiegato soprattutto durante il XVII secolo per armare navigli leggeri come piccoli “legni” d’abbordaggio. Questi cannoncini da nave potevano sparare anche mitraglie, cioè munizioni costituite da un’armatura in metallo riempita di palle di piombo, oltre che di schegge metalliche o di vetro che, una volta esploso il colpo, si disperdevano a rosa. Si distingueva da falcone e colubrina per la gittata, il calibro e le dimensioni ridotte.

La pistola a ruota fu la prima arma da fuoco portatile ad impiegare l’acciarino, in sostituzione della miccia, per comunicare il fuoco alla carica. Venne appositamente sviluppata per le forze di cavalleria pesante (Reiter e Corazzieri) nelle terre gravitanti intorno al Sacro Romano Impero Germanico (Germania, Italia e Borgogna) nei primordi del XVI secolo.

L’acciarino è un congegno adattato alla cassa delle vecchie armi da fuoco portatili, col quale si sostituì la miccia a serpentino o draghetto per comunicare il fuoco alla carica.

Per un certo tempo venne chiamato acciaiuolo, acciaio e focile. L’arma in seguito, prendendo il nome di quella sua parte essenziale, venne chiamata fucile.

L’acciarino a pietra e a martellina

In questa classe di acciarini il cane che reggeva la pietra divenne mobile, scattando per mezzo di un grilletto. La pietra batteva contro una piastrina di ferro spostandola e mettendo allo scoperto il bacinetto con la polvere. Nel contempo l’urto sulla lastrina (martellina) dava luogo alle scintille che comunicavano il fuoco alla polvere

L’acciarino a percussione

L’idea di utilizzare per l’accensione della carica del fucile il fulminato di mercurio, scoperto dal savoiardo Berthollett nel 1788, fu presentata la prima volta dallo Scozzese Forsyth nel 1807. Venne perfezionata in Francia dal Pauli fra il 1808 e il 1812, ma non fu avviata a pratica soluzione che in seguito all’invenzione della cassula metallica (vedi capsula a percussione) e del luminello, dovuta a Eggs nel 1818.

Prima di essere introdotta nelle armi da guerra, la piastra a percussione fu applicata alle armi da caccia e da bersaglio. La cassula (o capsula) si inseriva sull’imbocco del luminello e il cane, fatto scattare dal grilletto, la percuoteva, determinando la deflagrazione del fulminato contenuto nella medesima e conseguentemente l’accensione della carica attraverso il luminello, forato per tutta la sua lunghezza.

Gli inconvenienti lamentati con l’acciarino a pietra erano così eliminati ma rimaneva il frequente otturarsi del luminello, in seguito eliminato dai moderni sistemi di accensione.

Malgrado la sua indiscutibile superiorità sull’acciarino a pietra, l’introduzione di quello a percussione presso gli eserciti non fu immediata: fu iniziata dalla Francia nel 1840, dall’Austria nel 1854 e successivamente dagli altri stati.

 

Sviluppi moderni

Nel XIX secolo, la progettazione delle armi leggere fu rivoluzionata dallo sviluppo di efficienti fucili a ripetizione e dall’invenzione, da parte del chimico francese Paul-Marie-Eugène Vieille, della cosiddetta polvere senza fumo, o infume, a base di nitrocellulosa. La polvere senza fumo, che permetteva il controllo della pressione nella camera di scoppio attraverso la variazione di forma e dimensioni dei grani, consentì di ottenere alte velocità iniziali e migliorò le qualità balistiche. Le alte velocità iniziali imponevano l’uso di un proiettile rivestito che divenne standard in tutte le armi leggere da guerra a canna rigata, e finì per essere imposto dai trattati internazionali.

Armi a ripetizione e automatiche

Tutti i fucili da guerra adottati dai vari eserciti imponevano di agire manualmente sul meccanismo dell’otturatore a ogni sparo per estrarre il bossolo e inserire una nuova cartuccia dal caricatore. È di questo tipo, ad esempio, il famoso Modello 91 utilizzato dalle truppe italiane durante il primo conflitto mondiale. Per quanto tecnicamente molto perfezionate, tali armi erano caratterizzate da scarso volume di fuoco e si rivelarono quindi insufficienti per la guerra in trincea. Durante i due conflitti furono inventati fucili che sfruttavano la pressione dei gas sviluppati dallo sparo per azionare il meccanismo di ricarica. Alcune di queste armi di avanguardia, alimentate con nastri continui di cartucce, furono chiamate mitragliatrici; altre, alimentate da caricatori, furono dette fucili automatici.

A differenza dei fucili da guerra come il Lee-Enfield, lo Springfield e il Modello 91, che richiedevano un’azione manuale per la ricarica dopo ogni colpo, un fucile automatico continua a sparare, se il grilletto viene tenuto premuto, fino a che il caricatore non è esaurito. Un fucile semiautomatico, invece, ricarica automaticamente dopo ogni colpo, ma occorre ogni volta rilasciare e ripremere il grilletto. Il fucile semiautomatico Garand M1, adottato dalle truppe statunitensi durante il secondo conflitto mondiale, funziona a sottrazione di gas: una piccola apertura presso la bocca della canna lascia passare gas sufficiente per spingere una barra che aziona il meccanismo dell’otturatore, così da espellere il bossolo del colpo sparato e da caricare un nuovo proiettile di un caricatore da otto colpi. Nel 1957 esso fu sostituito con il fucile M14, con un caricatore di venti colpi, e in grado di sparare a raffica. Nel 1966, durante la guerra del Vietnam, fu adottato l’M16, che permette di far fuoco in modo automatico o semiautomatico. Negli ultimi decenni sono state sviluppate armi leggere, come ad esempio l’Armalite e il Kalašnikov, in grado di svolgere funzioni multiple.